Si chiama “Babology, pensieri, esperienze, incontri, domande e dubbi di un prete di montagna” ed è il podcast di don Fabrizio Della Bella, giovane sacerdote della Diocesi di Cuneo, parroco uno e trino, visto si divide con grande maestria tra Demonte, Rittana e Valloriate.
Durante il lockdown il suo podcast è diventata una delle voci più seguite e amate della Valle Stura. Gli abbiamo chiesto di raccontarci un po’ di lui, di Babology e di come sta cambiando la vita del prete di montagna.
– Prima di tutto perchè ti chiamano “don Bab”? e, se hai voglia, ci racconti cosa ti ha portato al sacerdozio?
Bab è l’abbreviazione di Babicio, che è il nomignolo che mi è rimasto dall’infanzia, una storpiatura del mio nome: Fabrizio. Ha alcune varianti dovute ai vari contesti: Sbabicio, Sbab… invece negli anni di seminario usavano “Izio”. Ho imparato a girarmi un po’ sempre quando mi chiamano in tutti i modi…
La domanda sulla vocazione vale una vita… diciamo in modo semplice: ho fatto esperienza di un grande abbraccio d’amore che vorrei moltiplicare con la mia vita. Ho ricevuto tanto nella vita in parrocchia da ragazzo, ho sentito e sento il valore della Parola di Dio, ritengo che il Maestro Gesù sia una voce solida a cui affidare i dubbi e le fatiche del vivere, così come una forza buona per esaltare il canto della gioia e della speranza che la vita porta. Vorrei trasmettere questo e perciò mi sono messo a disposizione della Chiesa.
– Quando e come è nato Babology, perchè hai scelto il podcast come strumento di comunicazione?
Ho sempre ascoltato molta radio. Da quando sono in valle e macino chilometri con il mio “Babbus” a ogni curva le stazioni radio gracchiano e si perdono. Così, complice una rete internet discreta nel telefono ho moltiplicato l’ascolto di podcast. Molti podcaster indipendenti stimolavano e invitavano i loro ascoltatori a iniziare un progetto. Così, un bel giorno, ho deciso di iniziare anche io. Era il 2 gennaio del 2019. all’inizio il microfono delle cuffiette attaccato al computer, un programma sconosciuto con cui smanettare, poi si è aggiunto il microfono e basta, per il resto ci sono io, un foglio di appunti e un tasto “registra”. Sulle motivazioni direi che il podcast nasce da una delle mie caratteristiche più famose: sono un chiacchierone! Mi piace parlare, mi piace discutere, così come mi piace esplorare ragionamenti e conoscenze varie. Ora oltre a Babology, che è il mio progetto personale, ho altri due podcast con altrettanti preti: God Monday che andava in live ogni lunedì mattina per darsi una sveglia per la settimana (ma in questo periodo va in onda in diretta alla sera, nella sua versione “night”), e il nuovissimo nato Panaché, con il mio amico don Federico di Mondovì, con cui ogni giovedì intervistiamo una persona e chiediamo il suo punto di vista sul tempo che stiamo vivendo.
- Il format è abbastanza semplice, ma insomma … un po’ nerd è necessario esserlo. Ti occupi tu di tutto?
Dopo aver ascoltato consigli da tutti i podcaster, dopo aver visto ore e ore di tutorial su YouTube su come montare audio pazzeschi e fare il botto di ascolti… mi sono fermato a un programma nativo del mio computer, una versione nemmeno aggiornatissima, semplice, funzionale e ok. Una volta una persona saggia mi ha detto “è meglio fare bene poco che molto male”. Non so se faccio bene, ma ormai conosco un po’ il programma e con poco tempo riesco a metter su quello che avevo pensato. Il mondo dei podcast è molto vario: c’è chi ha ancora meno produzione (registra e carica on line) e c’è chi mixa in modo pazzesco, con suoni, effetti e malizie che incantano… ecco, nella scala da 1 a 100 del nerd, diciamo che sono tra il secondo e il terzo scalino…
In Babology la religione non è la “regina” dei temi, anzi, scopri la Valle, la gente che la vive. Qual è l’obiettivo principale del progetto?
Sul web ci sono molte omelie e catechesi, sia registrazioni dal vivo di predicatori, sia materiale preparato apposta. Ne ascolto tantissimo, ed è proprio bello scoprire punti di vista di altri che riflettono su ciò che mi da vita. Quando ho deciso di iniziare il mio podcast, però, ho preferito il modello del diario, del racconto della mia vita. Spesso (ed è tanto più frequente in ambienti più grandi del nostro, per esempio in città o nel mondo universitario) si tende a avere un’idea del prete come di un uomo “diverso”, passami il termine) Focalizzandosi su due o tre caratteristiche si rischia di avere una caricatura standard di quella che, invece, è una vita del tutto normale. Volevo raccontarla. E nemmeno volevo raccontare “la vita del prete standard” … volevo raccontare la mia. Come si fa con gli amici al tavolo di un bar.
– Riesci a “misurare” il pubblico? hai feedback e di che tipo?
La piattaforma che uso ha un meccanismo di abbonamento in cui più paghi più ti lascia seguire i tuoi dati analitici. In pratica: ho un abbonamento standard che mi lascia poche informazioni a questo riguardo. I commenti sono vari… Qualche giovanissimo ascolta podcast. In generale mi seguono universitari o giovani lavoratori, lo desumo dalle mail o dai messaggi che ricevo. Più che le analitiche, infatti, sono i messaggi e i commenti che mi danno il polso della situazione: credo di aver preso parte a una community di ascoltatori di podcast italiani che è in crescita e molto meno generalista rispetto al pubblico di YouTube, per esempio.
– In queste settimane sospese in cosa è cambiato, se è cambiato, il progetto?
Ho pensato, su consiglio di un’amica, di usare questo mezzo per “sentire come va”. Ho concordato con qualcuno una telefonata e l’ho diffusa via podcast. É stato un modo per sentirsi meno soli, e sentire che anche altri coltivano le stesse nostre ansie, condite con uno sguardo di speranza e di energia positiva. Intanto, come ti ho detto, è nato il terzo progetto con don Federico. In questa quarantena ho avuto molto meno tempo di quanto si immagini, per la verità: ho passato le ore a racimolare contenuti, spedirli via messaggio, via podcast, via YouTube, in modo da non lasciare sole le persone che chiedevano una parola, un consiglio o anche solo la presenza di una voce amica.
– Facciamo finta che andrà davvero tutto bene, come vedi il futuro prossimo venturo?
Bisognerà capirsi tutti molto chiaramente su cosa intendiamo per “bene”. Perché intanto “andrà”: l’orologio e le stagioni non si fermano. Occorre trovare un sentiero in questa erba alta. Sapendo che alcune delle cose che prima davamo per scontato, ora sono più preziose dell’aria. Ricordandoci dello spavento preso (e siamo fortunati nelle montagne, perché dello spavento abbiamo avuto solo l’eco mediatico), sarà bello cercare di pensare tutti insieme un piano di rinnovo radicale del nostro mondo. Che lo vogliamo o no cambierà tutto. Chi pensa di “tornare” alla normalità è un pazzo o un illuso. Attenzione, con questo non ho detto che non sarà bello. Anzi! Abbiamo ricevuto una sberla così sonora che ci ha aperto gli occhi. Faccio un esempio: tutti diciamo “che primavera lussurreggiante quest’anno” … ma è così? Non è forse che presi da mille lamentele e agende inutilmente piene non ci siamo mai fermati a guardare sbocciare i tarassachi o i faggi che brillano dopo la pioggia? Un altro esempio: i bambini e i ragazzi a casa sono stati (e saranno ancora) uno stress enorme per le famiglie, ma quante hanno avuto l’opportunità rarissima di conoscere meglio i propri figli, specie se adolescenti? E quanti genitori si sono potuti rivelare meglio agli occhi dei loro bambini? Ancora: davanti alla crisi economica che arriverà, che significato daremo alla parola solidarietà, d’ora in poi? Io la chiamo carità, tu la chiami azione comune, l’altro la chiama attivismo sociale… bene… a chi servono le etichette? Quel che è certo è che avremo la possibilità di risvegliare un senso di appartenenza comune molto più stimolante. In questo spero proprio che certi orgogli vecchi cadano, e, per il bene, si ringiovaniscano di colpo tutti i cuori, anche quelli che battono da ottant’anni.
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